HARUKI MURAKAMI: PERCORSI MAGICI



DESTINO


In modo certamente inaspettato ma sicuramente predestinato, il mio primo incontro (a distanza) con Murakami san avviene ad Alba (CN), perla delle Langhe ed una delle principali calamite turistiche del Piemonte per via della splendida architettura medievale, le prelibatezze gastronomiche locali e la qualità invidiabile dei vini. Gli ingranaggi del tempo e della vita vollero che mancassi per un soffio alla sua apparizione al Festival Internazionale del Libro di Edimburgo nel 2014, dove venne accolto come una rockstar. Fu allora che compresi, seppur con il cuore stretto, che ci sarebbe stata un’altra occasione. Si trattava di una certezza assoluta e perfettamente razionale. L’autore stesso - e molti dei suoi personaggi - paiono condividere questa fiducia nel fattore-coincidenza. Nell’arco della vita, ognuno di noi ha sperimentato eventi straordinari che possono segnare, arricchire, o addirittura cambiare il corso della propria esistenza. Tuttavia queste esperienze, come stelle cadenti, ti piovono in grembo in modo inatteso e la morale della storia è che bisogna saperle riconoscerle e, poco a poco ma con determinatezza, è necessario coglierne il vero significato. Questo è uno dei potenti messaggi che possiamo cogliere dalle pagine di questo amatissimo scrittore.


Da qualche tempo i libri di Murakami, pubblicato in Italia dalla Einaudi, si trovano nei supermercati di tutta Europa. Si può tranquillamente affermare che egli sia disceso nel pozzo del subconscio collettivo internazionale, occupando silenziosamente gli scaffali cerebrali di milioni di noi. Ora egli vaga come spettro gentile e curioso dentro le nostre sommerse pulsioni, le fitte nebbie dell’animo, il mesto desiderio di evadere da una realtà sempre più sconcertante per ritrovare, chissà dove e chissà come, il filo d’argento della nostra esistenza. E poi vi è la calamita della passione di Murakami per la musica a rendercelo particolarmente amico. Uno di quegli amici intimi con cui il semplice scambiarsi un ritornello, la frase di un testo o il titolo di una canzone, spalanca porte a tunnel sotterranei nascosti, sentieri verso colline inondate di verde, spiagge immerse nella notte, strade urbane sferzate da tempeste di neve o semplicemente una stanza raccolta e solitaria. 


Posseggo tutto ciò che Murakami ha pubblicato durante i 40 anni della sua carriera. Sono romanzi, saggi e storie brevi rigorosamente in lingua inglese. Conscia del suo legame intellettuale (notoriamente, stese alcuni capitoli del suo primo romanzo in inglese, per poi trovare, attraverso la traduzione in giapponese, un nuovo linguaggio letterario) e professionale (in qualità di traduttore di romanzi) con tale idioma, leggerlo in inglese mi è sempre parsa la cosa più ovvia da fare. Una scelta razionale nella speranza di rendermelo più vicino, fino al momento in cui (forse un’illusione) sarò in grado di assaporarlo in giapponese. Fu quindi con una certa trepidazione che, al mio improvviso rimpatrio dopo decenni trascorsi all’estero, acquistai i suoi due ultimi romanzi nella versione italiana: L’Assassinio del commendatore, Libro primo, Idee che affiorano e Libro secondo, Metafore che si trasformano. Lo ammetto, mi pare strano leggerlo nella mia lingua madre. A mio avviso l’inglese, intrinsecamente più essenziale (anche per via di vocabolario particolarmente ricco di sfumature), rende forse meglio l’idea dello stile del maestro, ritmico ma al contempo conciso. È proprio questa prosa stringata, perfetta nella sua improvvisazione (come lo è la musica jazz), a rendere la lettura di un testo di Murakami irrimediabilmente seducente. La trovo infatti molto simile ai testi di una canzone. Ogni sua frase negozia concetti semplici e complessi con un’essenzialità stilistica ammaliante capace di penetrare nella nostra coscienza in modo immediato e naturale. Murakami, insomma, non solo scrive di musica, ma con la musica.






Il giovane Murakami non era particolarmente interessato ad ottenere una laurea a tutti i costi. Nato nel 1949 (dunque un baby-boomer) da un sacerdote buddista ed un’insegnate di letteratura giapponese, frequentò la Waseda University di Tokyo con lo stesso disincanto che prova Toru Watanabe, il protagonista di Norwegian wood. Tokyo blues (1987). I violenti movimenti ribelli sessantottini, che in Giappone ebbero durata particolarmente lunga e che videro scontri aspri tra fazioni di estrema destra nazionalista e sinistra filo-cinese, interessavano relativamente all’introverso studente di Teatro. Di certo non ne poteva condividere il forte sentimento anti-americano poiché era proprio la letteratura e la musica occidentale ad essere nel centro dei suoi interessi. Anziché lottare sulle barricate, egli si riempiva di Kafka, Kerouak, Capote, Flaubert, Scott Fitzgerald e Dostoyevsky. Già allora, Murakami era una persona che amava stare sulle sue, provando un forte desiderio di conoscere e comprendere il mondo oltre i suoi confini. Insieme alla letteratura, la musica offriva, come ben sappiamo, la possibilità di viaggiare con il cuore e la mente dentro realtà lontane. Ed ecco che nei negozi di dischi egli acquistava vecchie cassette di jazz e rock ’n’ roll un tempo appartenute a personale dell’esercito di occupazione americano. Da qui iniziò una passione che lo portò ad essere un avido collezionista di vinile, ed ad aprire con la moglie un jazz bar, Peter Cat.


Quella di gestire un piccolo bar in cui si suonava jazz dal vivo fu un’esperienza formante per il nostro. Nella trilogia del debutto (Ascolta la canzone del vento, Il flipper del ’73 e Nel segno della pecora), l’intrigante The Rat è gestore di un bar di jazz. Mentre, per esempio, in A Sud del Confine, Ad ovest del sole, troviamo Hajime, proprietario di due jazz bar alla moda che, attraverso l’intimità della musica, ritrova brevemente l’amore perduto della sua adolescenza (tema, quest’ultimo assai ricorrente nella cultura giapponese, dal romanzo al manga al cinema). Murakami quindi attinge abbondantemente dall’esperienza personale, ma non solo. È palese come abbia studiato dal vero, durante il periodo di Peter Cat, la passione, devozione e fatica di un musicista di nicchia che approccia la sua arte come veicolo di libertà spirituale, come lettura di linguaggi ignoti, come spazio di diletto profondamente intimo ed al contempo universale. Ed ovviamente ebbe anche occasione di osservare attentamente la sua clientela, un crogiolo di persone con vite e desideri diversi tra loro, chi gregario e casinaro, chi silenzioso ed invisibile, ma pur sempre accomunate dall’amore per la musica. Insomma, si può dire che grazie a Peter Cat Murakami espande il bagaglio necessario per diventare uno scrittore eccezionale. Questo accadrà, stranamente, durante un incontro di baseball, dove egli verrà improvvisamente folgorato dalla nozione di volere e, crucialmente, potere scrivere romanzi. Era evidentemente destino. Naturalmente, da buon giapponese, si armò di una grande determinazione e dedizione, scrivendo dopo l’ora di chiusura del bar, sino al sentirsi soddisfatto. Il resto è storia.


MAGIA


Murakami affascina e seduce non solo per come scrive, ma per cosa scrive. Le tematiche che ama investigare, attraverso ciò che si può definire “magico realismo”, sono di portata universale: amore, sessualità, identità, spiritualità, perdita, abbandono. In particolare egli è divenuto maestro nel tessere ponti impensati tra dualità come realtà e sogno, alienazione e desiderio, conformità sociale e destino altro. Basta pensare alla scala di ferro che da una superstrada di Tokyo, conduce ad un mondo parallelo nell’assoluto capolavoro 1Q84. Oppure al pozzo nella casa abbandonata che porta alla stanza di un hotel in L’uccello che girava le viti del mondo. Murakami ci insegna come esista sempre un passaggio segreto che ci può condurre, sicuramente a fatica ed attraverso pericoli d’ogni sorta, all’armonia, alla libertà interiore. L’assurdità di un’esistenza alienata deve essere per forza esorcizzata attraverso una concatenazione di eventi spesso incomprensibili, pertanto la ricerca del vero sé non può che espandersi verso il sovrannaturale. Sono destini ineluttabili, quelli che vivono i suoi personaggi, tipicamente persone senza grilli per la testa, introspettive e schive di natura che davanti al precipitare di eventi incontrollabili agiscono con un coraggio che trovo molto giapponese. È lo stesso atteggiamento con cui periodicamente la popolazione affronta le forze immense e devastanti della natura, come oramai vediamo ripetutamente nelle news, portatrici di morte e distruzione ma anche di caparbia rinascita. Il popolo giapponese affronta i drammi della vita perché non si ha altra scelta, perché davanti alla natura non puoi far altro che ringraziare di essere vivo e ricominciare da capo, meglio di prima.


Un altro tema interessante che Murakami ama affrontare è quello delle colpe storiche del Giappone. Senza avventarsi sulle responsabilità politiche del passato e del presente, egli affonda la penna nelle carni più tenere della storia con sobrietà Zen. Sempre in L’Uccello che girava le viti del mondo, Mamiya Tokutaro, luogotenente dell’esercito imperiale giapponese in Manchuria, racconta le atrocità della guerra a Toru, il giovane protagonista  alla ricerca della moglie e del gatto perduto. Ed ecco che passato e presente si attorcigliano all’improvviso, l’uno diventa la chiave per decifrare l’altro: morale, mai seppellire forzatamente il passato, nemmeno quando ci provoca sofferenza e vergogna, poiché solo affrontandone sino in fondo i fantasmi si possono creare un presente ed un futuro privi di minacciosi mostri sotterranei. 


Murakami ama anche soffermarsi sul profondo legame tra desiderio e sessualità, e quindi spesso i suoi personaggi sfuggono dalla concezione prefissata del sesso. Vi è la tensione sessuale tra due studenti maschi, l’una conscia e l’altra inconscia. Vi è chi è brevemente destinato a prostituirsi per poter comprendere la profondità dei desideri nascosti femminili e chi commette atti incestuosi nei confronti delle proprie sorelle. Troviamo la strana storia d’amore tra la impulsiva e disordinata Sumire e la fascinosa ma apparentemente frigida donna sposata Myu in La ragazza dello sputnik. E poi vi è la splendida killer in minigonna che vendica le donne che hanno subito violenze nel capolavoro 1Q84. Ne L’omicidio del commendatore il protagonista senza nome fa sesso con donne sconosciute o sposate come reazione naturale al fatto di essere stato lasciato dalla moglie. In Norwegian Wood, infine, la tragica Naoko è torturata dalla sua incapacità di eccitarsi sessualmente, afflizione che ritiene essere causa del suicidio del suo ragazzo. Per Murakami la sessualità, in tutte le sue manifestazioni, rappresenta una parte importantissima ed innegabile della nostra psiche, e diventa pertanto integrale alle storie dei suoi personaggi. Ricordo che, prima del contatto con gli occidentali (particolarmente sotto la guisa dei gesuiti) in Giappone l’atteggiamento nei confronti del sesso era assolutamente privo di taboo. La religione buddista tesseva le lodi dell’amore omosessuale, fino al punto di spingersi alla misoginia pura, ma in generale i costumi sessuali giapponesi erano decisamente liberi. L’impatto del cristianesimo nel subconscio collettivo nipponico fu pertanto di grande portata, rinsaldando da un lato il ruolo unilaterale di madre e di casalinga della donna e dall’altro gettando ignominia sull’amore omosessuale. Murakami, senza peraltro esaminare la sessualità in modo politico, ne mette in risalto la natura psicologica ed emotiva in maniera mai morbosa. 






MUSICA, CINEMA E GATTI


Ogni romanzo di Murakami è costellato di riferimenti alla musica, spaziando dalgli onnipresenti jazz e musica classica, sino alla lirica ed al rock. Alcuni nomi storici in ambito rock: The Beatles, Led Zeppelin, The Doors, The Rolling Stones, Prince, Pearl Jam, Talking Heads, Marc Bolan, Santana, Bob Dylan, Ten Years After, Cream, Blood Sweat & Tears, Creedence Clearwater Revival, Carole King, Simon & Garfunkel, The Beach Boys, Bruce Springsteen, ma anche Radiohead (con cui vi è un'amicizia personale). Sono citazioni scaturite da memorie, emozioni ed incontri, quindi non si tratta tanto di creare una colonna sonora per il singolo romanzo quanto di mappare stati d’animo e riflessioni scaturite dall’intimo dei personaggi stessi. Come spesso accade nella vita, la musica arricchisce le giornate di personaggi schivi e solitari. Se da un lato essi paiono esistere in completo unisono con un tranquillo, malinconico grigiore, dall’altro è proprio la musica che amano ascoltare a farci capire come dentro di loro esistano pulsioni e desideri da soddisfare, dolori e rimpianti da negoziare. In fondo lo sappiamo bene: la scelta della musica che ascoltiamo giornalmente dipende molto dal nostro stato d’animo e dai messaggi silenziosi del nostro subconscio.


Murakami spesso afferma nelle sue interviste quanto prediliga la musica e la cultura popolare, eppure le sue nozioni sulla musica cosiddetta colta (classica e lirica, ma possiamo anche includervi il jazz più elitario) sono stupefacenti. Lo si può comprovare in Assolutamente Musica, appena pubblicato da Einaudi, contenente una conversazione con il grande conduttore d’orchestra Ozawa Seiji. Descritto come una “sonata a 4 mani”, i due maestri (l’uno in veste di professionista, l’altro in veste amatoriale) scavano nella storia della musica, analizzando geni come Beethoven, Mahler, Bartók e Bernstein. Potrebbe apparire una chicca per pochi eletti, eppure l’emozionante messaggio che si percepisce a lettura terminata è quello di uno sconfinato amore per quel grande mistero che è la Musica nel suo complesso. “Like love, there can never be too much ‘good music’”, dice Murakami. “Il numero di persone che la usa per rinnovare il proprio appetito nei confronti della vita è semplicemente incommensurabile.” 


Da sempre è avido collezionista di vinile: pare che Murakami ne possegga oltre 10.000. Lo scorso anno ha annunciato di voler donare la sua collezione di musica e manoscritti letterari al campus della Waseda University, creando così un luogo in cui si possano tenere scambi culturali, e dove gli studenti possano semplicemente studiare ascoltando musica. Egli stesso scrive quotidianamente dalle 4 alle 10 del mattino ascoltando alcuni dei suoi dischi preferiti, scegliendoli accuratamente la sera prima, come fa un bambino che prepara la cartella per le lezioni del giorno dopo. “Per me la musica è cibo: mi dà energia,” dice.

Sull’eventuale rapporto di amicizia che Murakami possa aver instaurato con alcuni dei protagonisti della musica rock che egli così tanto apprezza, non si hanno notizie. Troviamo per esempio una recensione di Patti Smith per il New York Times su L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio (2014). Non è difficile immaginare come l’autore possa, durante la sua stanza negli USA, aver conosciuto personalmente alcune rockstar. Di sicuro sappiamo solo che frequenta i Radiohead quando sono in tournée. Jonny Greenwood ha infatti composto la suggestiva colonna sonora del film Norwegian wood. Ed a proposito di cinema…


Anche se il contenuto dei romanzi dell’autore di Kyoto si presta particolarmente ad una trascrizione cinematica affascinante, al momento (a parte alcuni short features) sono solo 4 i film ispirati a suoi lavori. Il primo è Hear the wind sing (1981) dal romanzo Ascolta la canzone del vento; forse non riuscitissimo e praticamente introvabile, è opera del regista Kazuki Omori. Il secondo è l’ottimo Tony Takitani (2004) di a Jun Ichikawa, dall’omonimo racconto del 1990 contenuto nella raccolta Salici ciechi e la donna addormentata. Tratta il tema della solitudine, dell’alienazione, della xenofobia e dell’amore in modo splendido, catturando l’essenza di Murakami. Segue il film più famoso, Norwegian Wood (2010) magistralmente diretto da Tran Anh Hung, dall’omonimo successo letterario mondiale del 1987. Qui troviamo una meticolosa attenzione del regista nel cogliere le pulsioni sessuali, i traumi psicologici ed il desiderio di vivere che segnano il passaggio dalla giovinezza all’età adulta. Infine abbiamo Burning, L’Amore Brucia (2019) diretto da Lee Chang-dong, tratto dal racconto breve Granai incendiati (1984) che fa parte della raccolta L’elefante scomparso ed altri racconti. Uscito anche in Italia nelle maggiori sale, se ne attende l’arrivo anche nelle sale minori!


Non si può non citare come nei romanzi dell’autore giapponese s’incontrino sovente dei gatti. Memorabile il personaggio di Nakata, il vecchio che acquista il potere di comprendere il linguaggio dei gatti in Kafka sulla spiaggia. Oppure La città dei gatti, il racconto contenuto nel romanzo 1Q84. Al momento Murakami non ha gatti, e se ne rammarica spesso. Fortunatamente, tuttavia, tutte le mattine quando esce a fare jogging (è un maratoneta provetto) ne incontra regolarmente 3 o 4, di cui è diventato amico. “Mi fermo a salutarli e loro mi vengono incontro; ci conosciamo molto bene.” I gatti, dice, lo hanno sempre aiutato. Da bambino, quando già divorava libri, fu un gatto a fargli compagnia. Durante la sua vita ha posseduto gatti di ogni colore e razza: Abissini, Siamesi, Scottish Fold e così via. Nella sua vecchia casa tradizionale giapponese possiede un altare domestico dove depone le urne con i resti dei gatti passati al mondo degli spiriti. In un suo saggio descrive come ognuno di essi avesse una personalità diversa; per esempio la gatta siamese Muse dava alla luce i suoi piccoli solo se lui le dava coraggio stringendole le zampe anteriori… Naturalmente Murakami scrisse il suo primo romanzo con un gatto in braccio, solo dopo che questi (e qui i gattari - termine che personalmente concepisco in maniera assolutamente positiva - si potranno immedesimare con il nostro) si fosse stancato di fare opera di sabotaggio tra i fogli bianchi per ottenere l’attenzione del padrone. 



IX PREMIO LATTES GRINZANE


Giungo all Teatro Sociale Giorgio Busca nel centro storico di Alba con largo anticipo e mi accomodo tra le poche file designate alla stampa, felice del preziosissimo invito. Murakami Haruki vierrà tra poco insignito del prestigioso Premio Lattes Grinzane 2019 per la sezione internazionale La Quercia. L’attesa è trepidante. Il teatro, moderno e confortevole, si riempie. E poi le luci si spengono. Il sipario si apre e… wow! Per un attimo, cadiamo nell’illusione di vederci specchiati sullo sfondo del palco. Eppure qualcosa non torna! Sullo sfondo dell’ampia cornice del palco appare una dorata platea gremitissima di giovani volti attoniti. “Ma è uno specchio?” mi chiede uno stranito collega. Scuoto la testa: no, siamo nella location perfetta per una serata all’insegna del realismo magico! Il teatro è infatti composto da due sale che si affacciano sullo stesso palcoscenico, una ottocentesca, restaurata alla perfezione, ed una moderna (1997). La sensazione è quella di osservare te stesso mentre osservi l’evento all’interno di una macchina del tempo. Geniale… Murakamesco! 

Dopo la presentazione da parte dello scrittore Marcello Fois, viene introdotto il nostro eroe. Minuto ma in eccellente forma fisica e body language da persona schiva in abbigliamento semplice (jeans e sneakers), il settantenne osserva divertito ed imbarazzato le due gremite platee, salutandole entrambe con svariati inchini. Un po’ spaesato, si avvicina al leggio posizionato in maniera trasversale su un lato del palco. Con il sincero imbarazzo e la squisita educazione che fa parte della sua cultura, saluta in italiano (ha vissuto a Palermo ed a Roma) e chiede ripetutamente scusa per dover parlare rivolgendosi ad una sola platea (la seconda lo potrà seguire su di uno schermo). Poi il viso si fa serio, forse ancora percorso da una certa tensione nonostante la lunga carriera e, generosamente, si accinge a raccontarci del suo modo personalissimo di scrivere un romanzo. 

Non si fa attendere il riferimento all’amore per il jazz fiorito negli anni universitari, ed alla sua appartenenza, seppur mediata da una spiccata individualità, alla generazione dei sessantottini. Mentre altri suoi coetanei passarono dalle barricate all’impiego sicuro nelle grandi corporations, egli scelse una strada diversa, assecondando il suo desiderio di libertà . Non voleva “diventare un ingranaggio del grande capitale.” “Nella misura del possibile,” dice “mi sono sforzato di viverre come individuo, secondo la mia logica personale, con coerenza, senza tener conto delle aspettative sociali, ed è quello che cerco di fare ancora oggi.” Murakami è quindi uno di noi: un “alternativo”. Ed è proprio questa sua sincera natura anticonformista che ce lo fa vedere come una di quelle rare rockstar che, nonostante il grande successo commerciale, continuano a vivere la propria vita senza sfarzi, al di fuori delle convenzioni sociali. Una scelta ben precisa e per certi versi temeraria, poiché presuppone, se non si ha fortuna, il dover ripartire da zero. Murakami è quindi un esempio lampante di come l’optare per la scelta meno ovvia possa portare a frutti insperati, attraverso un’alchimia fatta di determinazione (nel suo caso una ferrea disciplina fisica e mentale), talento (che egli descrive come la capacità di sondare il subconscio nelle sue profondità più oscure e stupefacenti) e tanta fortuna (ovvero imbattersi al momento giusto in una combinazione di eventi che possono cambiare la vita). 

Poi il maestro entra nel vivo della questione creativa, provocando negli avidi lettori/scrittori presenti una fortissima emozione. Egli descrive come sia per lui fondamentale l’elemento dell’improvvisazione. È propio l’incontro con l’inconscio, che egli raccoglie come un fiore appena sbocciato nel giardino segreto del suo immaginario più recondito, a fornire l’incipit di un romanzo. E da lì in poi Murakami scrive a ruota libera, senza la zavorra di una trama prefissata, bensì facendosi trasportare dalla volontà dei propri personaggi, a cavallo tra realismo e surrealismo.  L’importante, dice con particolare enfasi, è che la storia sia spontanea, altrimenti non “riuscirebbe a far vibrare il cuore dei lettori”. Cuori, fa notare, che non hanno barriere geografiche. E qui ci racconta la genesi del romanzo. Di notte, dentro le caverne, quando l’uomo primitivo, a qualsivoglia latitudine, accendeva il fuoco per scacciare le bestie notturne, e s’apprestava ad ascoltare i racconti di chi aveva il dono di fantasticare, di far tenere il fiato in sospeso al suo sparuto pubblico. Le storie più avvincenti ed universali, insomma, scaturiscono dall’inconscio di chi racconta per confluire in quello del fruitore attraverso un potente processo osmotico ancestrale, naturale. E di ciò Murakami è acutamente consapevole.

L’autore ribadisce inoltre quanto sia necessario amare ciò che si fa (la scrittura lo rende felice) ma anche lavorare duramente sul proprio stile per renderlo, oltre che universale, anche individuale. Egli ha saputo apprendere proprio dalla musica lo spiccato senso del ritmo, vale a dire quell’elemento imprescindibile che ammalia o scuote l’animo del lettore al punto da indurlo a leggere una sua opera d’un fiato. E c’è di più: il senso della melodia. Proprio come una bellissima canzone sa sedimentarsi nei nostri cuori grazie alle emozioni che suscita in noi, è fondamentale saper creare una magica miscela tra prosa e contenuto straordinario, destinata a restare con noi per sempre.

Murakami conclude la sua lectio magistralis ribadendo i concetti chiave che gli consentono di creare la sua arte: libertà personale, fiducia nell’atto stesso del raccontare ed empatia con il lettore. Egli per 40 anni ha continuato a scrivere per chi si raccoglie, in tempi bui attorno alla luce dei falò nelle caverne. Per Murakami, il romanzo è come fuoco che scaccia le tenebre. E la consapevolezza di poter donare questa luce lo rende felice.

Esplode l’applauso. La premiazione avviene con la dovuta semplicità. Poi Murakami, sorridendo emozionato, si concede finalmente alla nostra lunga standing ovation.


(Questo mio articolo è stato pubblicato sul n.471 - novembre 2019 - del mensile Rockerilla, per cui scrivo da molto tempo.)





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